6 aprile 2012

La schivata (A. Kechiche, 2003)

La schivata (L'esquive)
di Abdellatif Kechiche – Francia 2003
con Osman Elkharraz, Sara Forestier
***

Rivisto in DVD, con Paola, Ginevra ed Eleonora.

Innamorato della sua compagna di classe Lydia, il timido e taciturno quindicenne Krimo chiede di poter recitare al suo fianco nella rappresentazione scolastica della commedia “Il gioco dell’amore e del caso” di Marivaux, interpretando la parte di Arlecchino, pur essendo completamente negato per il teatro. Durante le prove, in un momento in cui si trovano da soli, si azzarda a dichiararsi: ma Lydia, confusa, esita a dargli una risposta definitiva, coinvolgendo senza volerlo nella vicenda anche i rispettivi amici. Ambientato nella banlieue parigina, fra le nuove generazioni di una popolazione multietnica più o meno integrata, il film funziona su più piani: quello della storia vera e propria (“Avvicinati di più, sennò come faccio a schivarti?” dice Lydia a Krimo durante le prove della recita), quello del linguaggio (lo slang assai realistico dei ragazzi, pieno di parolacce e di incertezze lessicali, che contrasta notevolmente con la ricercatezza e la raffinatezza formale dei dialoghi della commedia settecentesca), quello dell’identità (l’insegnante invita Krimo a “uscire da sé stesso” per immedesimarsi nel personaggio, ma il ragazzo non ci riesce perché, proprio come Arlecchino è innamorato di Lisetta, lui non ha occhi che per Lydia; da notare che anche nella commedia di Marivaux i personaggi si travestono e interpretano ruoli diversi dai propri). Indimenticabile l’immagine della ragazza che si aggira per le squallide periferie in abiti settecenteschi e con il ventaglio che scuote ininterrottamente. Ottima la recitazione di giovani attori in gran parte esordienti o non professionisti (su tutti spicca la bionda Sara Forestier; molto bravi anche Sabrina Ouazani nei panni di Frida, l’amica di Lydia, e Hafet Ben-Ahmed in quelli di Fatih, l’amico più grande di Krimo), ripresi da vicino attraverso una camera a mano sempre in movimento che si sofferma su primissimi piani. Com’è caratteristica di Kechiche, i tempi sono lunghi e le scene si trascinano in estenuanti discussioni di cui vengono mostrati i dettagli, i dialoghi e i gesti più insignificanti, ma fortunatamente la spontaneità e il realismo, oltre alla cura per la psicologia e la caratterizzazione dei personaggi, non vengono mai a mancare.

2 commenti:

bradipo ha detto...

ciao , per prima cosa complimenti per il blog e per come parli di cinema senza trincerarti dietro troppi sofismi verbali. Su questo film sono totalmente d'accordo con te,anzi ti dirò di più, la prima volta che l'ho visto non avevo colto la carica di rinnovamento che Kechiche portava. Ora invece vedo tracce di questo film da molte parti (La classe, Polisse, una mia visione recentissima u film svedese presentato a Cannes l'anno scorso che si chiama Play). Un film seminale di una certa tendenza di fare cinema.E già solo per questo merita un posto nell'empireo. Una serena Pasqua!

Christian ha detto...

Ciao, benvenuto sul blog e grazie per i complimenti! Scusami se rispondo solo ora, ma sono stato via durante i giorni di Pasqua (auguri anche a te, in ritardo ^^). Concordo sulla bellezza di questo film, che mi pare finora il più riuscito e felice di Kechiche (anche se devo ancora vedere “Venere nera”). C’è comunque da dire che il cinema francese è da sempre attento a ritrarre l’universo degli adolescenti (e dei bambini) con toni realistici e non edulcorati, e senza l’accondiscendenza o il paternalismo tipico invece degli italiani: basti pensare a caposaldi come “Zero in condotta” di Vigo o “I cento passi” di Truffaut, per arrivare poi a quelli che citi. “Play” l’ho visto anch’io, e concordo nel trovarlo molto interessante.