11 maggio 2013

No – I giorni dell'arcobaleno (Pablo Larraín, 2012)

No – I giorni dell'arcobaleno (No)
di Pablo Larraín – Cile 2012
con Gael García Bernal, Alfredo Castro
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Visto al cinema Eliseo.

Nel 1988, la dittatura militare cilena fu costretta – anche da pressioni internazionali – a organizzare un referendum per chiedere al popolo se mantenere il generale Pinochet al potere per altri otto anni o se, al contrario, indire delle elezioni democratiche. Per la prima volta in quindici anni, alle forze di opposizione venne dato spazio in televisione (quindici minuti al giorno, a tarda ora, per ventisette giorni) per lanciare la propria campagna per il "No". Contro ogni pronostico, fu proprio il "No" a vincere e a porre così fine al governo della giunta. Con un film semidocumentaristico e che fa ampio ricorso a filmati e materiali d'epoca, Larraín conclude la sua trilogia sulla dittatura cilena: dopo "Post mortem", che ne descriveva i tumultuosi inizi con il colpo di stato ai danni di Salvador Allende, e "Tony Manero", che ne ritraeva la terribile e quotidiana "normalità", ecco una pellicola che ne racconta la fine. E come negli altri due film, lo fa da un insolito punto di vista, quello di René Saavedra (Bernal), giovane pubblicitario di successo, incaricato di mettere a punto la creatività della campagna per il "No". Le difficoltà (le scarse risorse, le intimidazioni della giusta, l'ostilità dei colleghi di lavoro – il suo capo, interpretato dall'Alfredo Castro che era stato il protagonista dei due precedenti film, lavora invece per il "Sì" – e soprattutto la paura e il pessimismo diffuso che spingevano molti cileni verso l'astensione) vengono superate grazie all'intuizione di sfruttare il linguaggio pubblicitario proprio come se si trattasse di "vendere" un prodotto, lanciando un messsaggio più semplice possibile. L'idea chiave è quella di ammantare la campagna di toni giocosi e allegri: al "No" viene abbinato un arcobaleno, i claim e i jingle intonano "Cile, l'allegria sta arrivando!", e l'ironia la fa da padrona. Passo dopo passo, l'atmosfera cambia e la situazione si capovolge, fino alla vittoria alle urne. Meno cupo, intenso ed esistenzialista dei due film precedenti, "No" descrive alla perfezione il potere della pubblicità, che trasforma in marketing anche l'attivismo politico (irritando coloro che avrebbero preferito comunicare al pubblico il proprio programma, oppure mettere in luce gli orrori e i crimini della dittatura: indicativo come, terminata l'esperienza della campagna per il referendum, René torni al suo normale lavoro e a pubblicizzare prodotti di scarsa qualità, come bibite o telenovele, con lo stesso metodo e le stesse strategie) ma anche il contagioso potere dell'ottimismo e dell'allegria, forse davvero il modo migliore per opporsi a una dittatura senza scendere sul suo stesso terreno fatto di violenza e sopraffazione. Basato su un dramma inedito di Antonio Skármeta, "El plebiscito", il film si caratterizza anche per la cura nella ricostruzione storica e il realismo delle immagini (il formato in 4:3 e la fotografia sovraesposta danno spesso l'impressione di assistere a un filmato girato in quei tempi), che si spiega anche con la decisione, da parte del regista, di utilizzare una videocamera a nastro magnetico e a bassa definizione, identica a quelle che erano usate dalle televisioni cilene negli anni ottanta. Anche per questo, l'ampio ricorso a materiali d'archivio (le vere campagne dell'epoca, le interviste, le scene degli scontri di piazza) non stonano al fianco del girato moderno. Interessante il cameo di protagonisti dell'epoca come i veri Patricio Aylwin (che l'anno dopo venne eletto presidente del Cile) e Patricio Bañados (l'anchorman televisivo), il cui aspetto attuale e invecchiato "sfuma" in quello più giovane delle riprese d'epoca. Vincitore della Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, è anche il primo (e finora unico) lungometraggio cileno ad aver ricevuto una nomination agli Oscar per il miglior film straniero.

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