29 maggio 2015

Mad Max: Oltre la sfera del tuono (Miller, Ogilvie, 1985)

Mad Max - Oltre la sfera del tuono (Mad Max Beyond Thunderdome)
di George Miller, George Ogilvie – Australia 1985
con Mel Gibson, Tina Turner
**

Rivisto in divx.

Il terzo (e per lungo tempo rimasto l'ultimo) film della serie di "Mad Max", è per molti versi il più debole della saga, sicuramente il meno originale. Ritrae un mondo ancora più barbarico di quello dei film precedenti, forse perché sono trascorsi più anni dalla guerra nucleare che ha sconvolto il pianeta: ora persino l'acqua è una risorsa preziosa, e i pochi avamposti di "civiltà", come la città di Bartertown che fa da sfondo alla prima parte della pellicola, si basano sul baratto e sulla legge del più forte. Il comando di Bartertown è conteso fra la corrotta Aunty (Tina Turner), che gestisce i commerci e l'ordine pubblico, e il nano Master (Angelo Rossitto), direttore della fabbrica che fornisce energia alla città (attraverso il metano prodotto dallo sterco dei maiali: una metafora fin troppo esplicita!). Aunty chiede a Max di sconfiggere per suo conto Blaster, la colossale guardia del corpo di Master, attraverso un duello nella Thunderdome, la gabbia-arena al centro della città. Il nostro eroe finisce però per tradire la fiducia della donna, che lo esilia così nel deserto. Qui incontrerà una tribù di ragazzini che vivono in una piccola oasi, una pozza d'acqua circondata dalle rocce, e li guiderà verso una nuova dimora. Come al solito i collegamenti con i film precedenti sono esili o contraddittori (abbiamo addirittura un personaggio, l'aviatore interpretato da Bruce Spence, che torna dalla seconda pellicola ma che non riconosce Max, né è riconosciuto da quest'ultimo), il che è forse un vantaggio perché consente di godersi ogni singolo episodio come se si trattasse di un reboot della saga. Il problema però è che stavolta manca l'originalità (tanto lo scenario della città perduta, quanto quello della tribù dei bambini, non sono particolarmente innovativi all'interno del filone post-apocalittico) ed è assente anche l'energia delle stimolanti sequenze d'azione e di corsa su auto o moto. Solo nel finale abbiamo un inseguimento che prova a imitare quello del film precedente, stavolta a un treno anziché a un'autocisterna, ma l'effetto è decisamente in tono minore. Per il resto la serie sembra ammantarsi di atmosfere new age, con i bambini che mettono Max e gli aeroplani al centro di una religione non dissimile dai "cargo cult" di certi indigeni del Pacifico. Proprio la presenza della tribù dei bambini (che ricordano anche i "bimbi perduti" di Peter Pan) rischia di infantilizzare un po' il setting, come invece non accadeva con il Feral Kid del secondo film per via della sua furia selvaggia. Ma quella dell'abbassamento dell'età del target era un po' una tendenza del cinema fantastico dei primi anni ottanta (si pensi anche a "Il ritorno dello Jedi"). Byron Kennedy, il produttore storico della serie, era scomparso in un incidente di elicottero durante la fase di pre-produzione della pellicola, e Miller ne fu talmente sconvolto da meditare persino di non dirigere più il film: alla fine scelse di farsi aiutare dall'amico George Ogilvie, che dunque figura come co-regista. Oltre che recitare nel ruolo di Aunty, Tina Turner canta due canzoni, fra cui "We Don't Need Another Hero (Thunderdome)" sui titoli di coda. Nota finale: finalmente anche i titoli italiani cominciano a mettere in rilievo il nome del protagonista; d'altronde la V8 Interceptor era andata distrutta nella pellicola precedente.

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