23 gennaio 2016

Il ponte delle spie (S. Spielberg, 2015)

Il ponte delle spie (Bridge of Spies)
di Steven Spielberg – USA 2015
con Tom Hanks, Mark Rylance
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Visto al cinema Arlecchino.

Nel 1957, in piena guerra fredda, il governo degli Stati Uniti identifica e cattura a New York una presunta spia russa, Rudolf Abel (Rylance). Il malcapitato compito di difenderla al processo tocca all'avvocato James Donovan (Hanks), che fa quel che può per garantirgli quei diritti costituzionali che nessuno sembra volergli riconoscere. Ma il coinvolgimento di Donovan non termina con la condanna di Abel: l'avvocato viene infatti incaricato di negoziare la sua consegna ai sovietici in cambio di un soldato americano, il pilota Francis Gary Powers (Austin Stowell), il cui aereo è stato abbattuto dai russi. Lo scambio, che giustifica il titolo del film, avverrà sul Ponte di Glienicke, tra Berlino Ovest e Berlino Est. Da una storia vera, un film che gronda retorica spielberghiana: in primis a favore della costituzione (con Donovan solo contro tutti, in un clima di caccia alle streghe: immancabili le scene con la famiglia e i bambini del protagonista messi in pericolo a causa della sua integerrimità), e poi – quando l'azione si sposta in Germania – nel mettere in luce le fondamentali differenze fra lo stile di vita americano e quello del blocco sovietico (la scena in cui Donovan assiste alla fucilazione dei disperati che tentano di scavalcare il muro di Berlino, appena costruito, è messa a confronto con quella analoga, nel finale, in cui attraversa i quartieri di Brooklyn a bordo della metropolitana). Agiografico (Donovan, come lo definisce lo stesso Abel, è un uomo "tutto d'un pezzo"), ideologico (come in "Salvate il soldato Ryan", ogni singolo americano, persino il più umile – lì un soldato semplice, qui lo studente Frederic Pryor, catturato dalla Stasi e che Donovan insiste nell'includere nello scambio – merita di essere salvato a ogni costo, anche correndo il rischio di mettere a repentaglio l'intera missione) e appunto retorico (le due scene nel vagone del treno in cui i passeggeri riconoscono il volto dell'avvocato dai giornali, biasimandolo o ammirandolo a seconda delle circostanze). Di tutti i personaggi, quello più interessante è proprio il "colonnello" Abel, la spia sovietica, con il suo fatalismo ("Servirebbe?" risponde quando gli si chiede se è preoccupato), la sua umanità, il suo basso profilo (è quanto mai lontano dalle classiche figure di spie alla James Bond), le sue abitudini (la pittura, il fumo): a differenza delle figure che Donovan incontra a Berlino, vere e proprie macchiette, contribuisce a dare una dimensione più tragica e umana alle dinamiche dell'epoca della guerra fredda. Impeccabili, come sempre quando si tratta di Spielberg, regia, fotografia e confezione in generale. La sceneggiatura, tesa quanto basta, è di Matt Charman e dei fratelli Coen.

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