14 novembre 2016

Maelström (Denis Villeneuve, 2000)

Maelström (id.)
di Denis Villeneuve – Canada 2000
con Marie-Josée Croze, Jean-Nicolas Verreault
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Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Depressa dopo un aborto, in crisi con il lavoro, sotto pressione per essere la "figlia di una celebrità", la venticinquenne Bibiane Champagne (Croze) è in piena fase autodistruttiva. Una sera, mentre torna a casa ubriaca dopo aver cercato inutilmente sfogo in discoteca, investe e uccide con la sua auto un uomo, l'anziano pescatore Karlsen. Quando se ne rende conto, presa dai sensi di colpa, medita addirittura il suicidio. Ma non appena incontrerà il figlio del defunto, Evian (Verreault), finirà con l'innamorarsene e trovare in lui una nuova ragione di vita... A rendere particolare il secondo lungometraggio di Villeneuve non è tanto la trama in sé (che pure ha diversi punti in comune con il precedente, la commedia romantica "Un 32 août sur terre", al punto da sembrarne quasi una rilettura più cupa e stratificata) quanto la complessa simbologia: a partire dal titolo, il termine di origine norvegese che indica i vortici oceanici. Qui il "vortice" è quello della vita e della morte, che lega il destino dei personaggi attraverso le misteriose concatenazioni del caos (si pensi per esempio alla sequenza che, a partire da un'ordinazione al ristorante da parte della protagonista e della sua amica, porta alla scoperta del cadavere dell'uomo investito). Elemento ricorrente è il mare, con le sue onde, la schiuma, i vortici appunto, ma anche i pesci e le creature acquatiche. Karlsen, ex marinaio, ora lavora in un mercato ittico, mentre suo figlio Evian è un sommozzatore. Bibi cerca di cancellare la propria colpa buttando la sua automobile in fondo al porto. E non mancano numerose suggestioni "norvegesi" (dai continui riferimenti al folklore scandinavo, alla provenienza stessa di Evian e di suo padre). Come bizzarra cornice, l'intera vicenda è raccontata agli spettatori da un pesce parlante, "torturato" in una dimensione ultraterrena da un pescatore infernale. La trovata dona alla pellicola un'impronta da fiaba dark, che non stona con la sua qualità surreale e a tratti persino semi-umoristica, tongue in cheek, come sottolinea la colonna sonora (dove spiccano le canzoni "Les deux guitares" ed "Et pourtant" di Charles Aznavour: ma ci sono anche Tom Waits ed Edward Grieg). Un film strano, dunque, pretenzioso (si parla della condizione umana...) e affascinante al tempo stesso, che ha portato Villeneuve all'attenzione della critica ma anche a una sorta di impasse creativo, tanto che ci vorranno ben nove anni prima di vedere un suo nuovo lungometraggio (del tutto diverso stilisticamente: "Polytechnique", semi-documentaristico e in bianco e nero).

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