24 agosto 2017

Quinto potere (Sidney Lumet, 1976)

Quinto potere (Network)
di Sidney Lumet – USA 1976
con William Holden, Faye Dunaway
***

Visto in divx alla Fogona, con Marisa.

L'anziano giornalista televisivo Howard Beale (Peter Finch), in crisi esistenziale anche perché, dopo anni di onorato servizio, sta per essere licenziato a causa dei bassi indici di ascolto, annuncia durante il telegiornale la sua intenzione di suicidarsi in diretta entro una settimana. Naturalmente l'audience schizza alle stelle, e i responsabili della rete tv gli offrono la possibilità di esternare, in un programma tutto suo, qualsiasi cosa gli passi per la testa. L'amico Max Schumacher (William Holden), direttore della sezione news, tenta inutilmente di opporsi: viene esautorato dal suo incarico, che passa nelle mani della spregiudicata Diana Christensen (Faye Dunaway), ideatrice di programmi che ricorrono a qualsiasi mezzo e qualsiasi argomento pur di provocare la reazione del pubblico. Quando però le “sparate” di Beale si faranno sempre più scomode e l'indice di gradimento ricomincerà a scendere, nell'impossibilità di cacciarlo di nuovo (perché ormai entrato nelle grazie del proprietario del network), i responsabili della programmazione, guidati dal cinico Frank Hackett (Robert Duvall), organizzeranno il suo omicidio in diretta tv. Più che una satira, una lucida e feroce critica al mondo della tv commerciale, descritto come cinico e insensibile e che l'anziano Max identifica con la giovane e rampante Diana, incapace di provare veri sentimenti e che sostituisce alla realtà un mondo fittizio fatto di cinismo e spettacolarizzazione. Sceneggiato da Paddy Chayefsky, il film è stato intitolato in italiano “Quinto potere” per fare il verso al capolavoro di Orson Welles: ma più che semplicemente la stampa e la televisione, il quarto e quinto potere andrebbero interpretati rispettivamente come il giornalismo che manipola l'opinione pubblica (ossia il potere dei mass media) e la volgarizzazione dell'intrattenimento (ossia il loro inevitabile scadimento con il puro fine della crescita dell'audience). Per Diana i programmi possono parlare di qualsiasi cosa, purché solletichino gli istinti degli spettatori e portino profitto. Non importa se si tratti di idee controverse o pericolose: si può persino sostituire il telegiornale con le previsioni di un'indovina, o finanziare un gruppo terrorista per mostrarne le azioni in anteprima. Beale, addirittura, diventa il “pazzo profeta dell'etere”, un guru in grado di manipolare le masse con il suo anticonformismo, all'insegna dello slogan “Sono incazzato nero, e tutto questo non lo tollererò più”: una specie di Beppe Grillo ante litteram. E naturalmente questo tipo di tv passa sopra a ogni vita e a ogni rapporto umano, visto che tutto è sacrificabile e contano solo lo share e l'indice di gradimento. Nel cast anche Wesley Addy, Ned Beatty e Beatrice Straight. Grande successo di critica, con dieci nomination e quattro premi Oscar vinti: per le interpretazioni a Finch (assegnato postumo), Dunaway e Straight (per soli cinque minuti di apparizione sullo schermo: record minimo di sempre), per la sceneggiatura a Chayefsky.

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