20 dicembre 2017

Pane e fiore (Mohsen Makhmalbaf, 1996)

Pane e fiore (Nun va goldun)
di Mohsen Makhmalbaf – Iran 1996
con Mirhadi Tayebi, Ammar Tafti
***1/2

Rivisto in DVD (registrato da "Fuori Orario").

Vent'anni prima, ai tempi delle proteste contro il regime dello Scià, l'allora diciassettenne Makhmalbaf aveva tentato di sottrarre la pistola a un poliziotto ventenne, accoltellandolo. Adesso vorrebbe girare un film su quell'episodio, coinvolgendo la guardia di un tempo (Mirhadi Tayebi), che sogna di sfondare nel cinema. Entrambi i protagonisti hanno il compito di scegliere i giovani attori che li impersoneranno (la loro "giovinezza") e di istruirli a recitare la loro parte. Il tema del cinema nel cinema (la pellicola è di fatto il making of di un film che in realtà non si girerà mai) si fonde con quello della ricostruzione del passato e del desiderio di rivivere le esperienze di un tempo, magari per cogliere una seconda occasione o per rimediare ai propri errori. L'idealismo delle nuove generazioni (i due giovani attori sono a disagio nell'interpretare un atto di violenza) offre una ventata di ottimismo: la giovinezza del regista (Ali Bakhsi) dichiara di voler "salvare l'umanità", anche se non sa bene come (proprio come Makhmalbaf, quando aveva diciassette anni, intendeva lottare per la rivoluzione), mentre la giovinezza della guardia (Ammar Tafti) si lascia coinvolgere dai suoi afflati romantici nei confronti della ragazza (in realtà la cugina del regista) che, con le sue richieste di informazioni, lo deve "distrarre" fra i passaggi del vecchio bazar (Maryam Mohamadamini). Attraverso un montaggio mirabile, che mostra in parallelo varie linee temporali sfalsate (tanto che, quando i personaggi si incrociano, assistiamo a momenti ripetuti), il passato viene rivisitato sotto forma di ricordi o con la scusa della ricostruzione cinematografica. E tutto tende inesorabilmente verso la scena finale, culmine del film con un memorabile fermo immagine, quando al posto delle due armi (la pistola e il coltello), simbolo di violenza, a essere sfoderati sono due oggetti molto più innocui, quelli che avrebbero dovuto nasconderle (il vaso di fiori e il pane del titolo). Se da un lato il film è un modo per Makhmalbaf di chiedere perdono e di cercare una riconciliazione per ciò che ha fatto in passato, dall'altro è una testimonianza del potere del cinema: non solo come mezzo di rappresentazione della realtà, ma anche come strumento di (auto)analisi, per come esamina e approfondisce le proprie paure, gli ideali e i sentimenti (non senza un pizzico di confusione fra il vero e il falso: che differenza c'è fra la ragazza che "recita" per distrarre la guardia e quella che "recita" per fare l'attrice, abilmente diretta dal cugino-regista?). Un cinema che, nel trasformare la realtà in finzione (o viceversa) e nel ricostruire un episodio del passato, offre sempre un'occasione di redenzione o di riscatto.

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