6 gennaio 2018

Tutti gli uomini del re (R. Rossen, 1949)

Tutti gli uomini del re (All the King's Men)
di Robert Rossen – USA 1949
con John Ireland, Broderick Crawford
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Visto in divx.

Il giornalista Jack Burden (Ireland) si lascia affascinare, come tutti, dal politico ruspante e populista Willie Stark (Crawford). Capirà troppo tardi che per Stark il fine giustifica ogni mezzo, e che il potere inevitabilmente corrompe. Da un romanzo (premio Pulitzer) di Robert Penn Warren, ispirato alla vita di Huey Long, governatore della Louisiana negli anni trenta (subito dopo la grande depressione), un lungometraggio che fece incetta di Oscar (fra cui quello per il miglior film) e conquistò la critica e il pubblico. Più che Burden, che funge semplicemente da punto di vista (anche morale) degli spettatori, al centro della pellicola c'è sempre la vitale e ingombrante figura di Stark, che da contadino semplice ma già ambizioso arriva a farsi eleggere governatore grazie alle sue crociate contro gli sprechi e agli accorati discorsi a favore del popolo. In effetti Stark è assai diverso dai suoi predecessori, e realizza molte delle sue promesse elettorali, modernizzando il paese e costruendo strade, scuole, ospedali. Ma non è esente a sua volte dalla tentazione di ricorrere a mezzi sporchi, compresi scandali e ricatti per demolire i suoi avversari, per non parlare delle amicizie particolari e dei favoritismi (impone la presenza del figlio Tom (John Derek) nella locale squadra di football, per la quale costruisce anche un nuovo stadio: proprio come Kane faceva per la moglie, cantante d'opera, in "Quarto potere"). Nonostante i suoi difetti, la sua figura resta carismatica fino in fondo, tanto da attrarre verso di sé tutti coloro che lo circondano, compresa la sua assistente Sadie (Mercedes McCambridge) e persino Anne (Joanne Dru), fidanzata di Jack, sorella del medico Alan (Shepperd Strudwick) e nipote dell'unico uomo che gli si oppone, l'integerrimo giudice Stanton (Raymond Greenleaf). Iconico ritratto del populismo e della demagogia della politica, il film (il cui titolo deriva da un verso di una nota filastrocca inglese per bambini, "Humpty Dumpty") divenne a tal punto un simbolo della corruzione del potere che il titolo stesso fu "riadattato" nel 1976 per la pellicola sul Watergate ("Tutti gli uomini del presidente"). Pare che John Wayne, al quale era stata proposta la parte di Stark, la rifiutò ritenendo la sceneggiatura antipatriottica: Crawford, che lo sostituì, vinse l'Oscar come miglior attore battendo proprio il Duca (che era stato nominato per "Iwo Jima, deserto di fuoco"). Fondamentale il contributo al montaggio di Robert Parrish, che dona coerenza, ritmo e vitalità al girato di Rossen, anche a costo di eliminare molti dettagli (furono tagliate gran parte delle sottotrame sulla vita sentimentale di Willie) e di lasciarne altri nel vago (non si esplicitano i nomi dei partiti, delle correnti politiche e persino delle località in cui si svolge la storia: la capitale dello stato è una generica "Capital City"). Anche l'esatta portata delle amicizie e della corruzione di Willie è lasciata all'immaginazione dello spettatore, che – giudizi morali a parte – potrebbe benissimo solidarizzare con lui. Rifatto nel 2006 da Steven Zaillian con Sean Penn.

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