24 marzo 2018

Azougue Nazaré (Tiago Melo, 2018)

Azougue Nazareth (Azougue Nazaré)
di Tiago Melo – Brasile 2018
con Valmir do Côco, Mohana Uchoa
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Visto all'Auditorium San Fedele, con Marisa, in originale con sottotitoli (FESCAAAL). Era presente il regista.

Il film (un'opera prima) è incentrato attorno al "maracatu", una sorta di carnevale di antica tradizione che si svolge a Pernambuco, stato nord-orientale del Brasile, le cui origini affondano nei canti e nei rituali degli schiavi africani che lavoravano nelle piantagioni di canna da zucchero. Ancora popolare e diffuso fra la popolazione, che vi partecipa indossando colorati costumi e intonando vere e proprie "battaglie" di canti in rima (da improvvisare come stornelli, o come il moderno rap), il maracatu è mal visto dalla religione cristiana, che lo associa ai riti voodoo e al demonio (anche perché, ovviamente, in queste occasioni l'alcol scorre a fiumi). La pellicola segue diversi personaggi nella piccola città di Nazaré da Mata: fra questi spicca il corpulento Tião (Valmir do Côco), la cui moglie Darlene (Joana Gatis), fervente evangelista, gli causa non pochi problemi. Lo stesso pastore del paese, Mestre Barachinha, era stato in gioventù un "maestro del maracatu", prima di rinnegare gli antichi rituali. C'è poi la bella Tita (Mohana Uchoa), moglie del fabbro locale, che tradisce spesso e volentieri; e tutta un'altra serie di personaggi, amici, conoscenti, membri di una stravagante comunità alle prese, più o meno consapevolmente, con un vero e proprio "scontro di culture", dove il soprannaturale (il prete voodoo, i misteriosi spiritelli che appaiono fra scariche elettriche, si aggirano fra le canne da zucchero e rapiscono le persone) confina sempre con il quotidiano (i moderni "riti" brasiliani, come le partite di calcio, il riposo sulla spiaggia, le danze e appunto la religione). Un film episodico, colorato, energetico, che mira più a descrivere un contesto che non a raccontare una storia. Ma i personaggi sono vivi e colpiscono l'immaginario: senza dubbio il casting (che ricorre ad abitanti di Nazaré, in gran parte non professionisti) è il punto di forza dell'intera operazione.

3 commenti:

Marisa ha detto...

Una bella occasione per conoscere (sembra a volte di essere dentro il film) usi e costumi così lontani...ma non troppo se pensiamo al rinnovato utilizzo della "Pizzica" in Puglie e agli stornelli che in "Mamma Roma" di Pasolini si scambiavano Anna Magnani e la sposa del suo magnaccia, stuzzicandosi non poco!

Christian ha detto...

Sì, l'aspetto antropologico è sicuramente il maggior pregio di un film pieno di energia e di vitalità (e anche di mistero). Più che la storia in sé, a interessare è la descrizione del mondo che ruota attorno al "macaratu" e la sua difficile convivenza con la religione "ufficiale" (ma non meno assurda o contraddittoria). Oltre agli stornelli romani e ai balli etnici, a me gli "scontri" a base di canzoni e di rime hanno ricordato anche il rap del film "8 Mile" con Eminem!

Marisa ha detto...

E anche gli scontri competitivi a base di frizzanti ritornelli delle squadre di mondine in "Riso amaro"...