19 marzo 2018

Une saison en France (M. Haroun, 2017)

Une saison en France
di Mahamat-Saleh Haroun – Francia 2017
con Eriq Ebouaney, Sandrine Bonnaire
**1/2

Visto all'Auditorium San Fedele, con Marisa e Patrizia,
in originale con sottotitoli (FESCAAAL).

Abbas (Ebouaney), fuggito dalla guerra nella Repubblica Centrafricana per rifugiarsi in Francia con il fratello Etienne e i due figlioletti Yacine e Asma, ha perso nel frattempo la moglie (che continua ad apparire nei suoi sogni, anche a occhi aperti) e ha trovato l'amore di un'altra immigrata, la polacca Carole (Bonnaire). Quando però la sua richiesta d'asilo vene respinta e gli viene intimato di lasciare il paese entro trenta giorni, i sogni di una nuova vita svaniscono di colpo, si ritrova un sans-papiers, costretto alla clandestinità e sempre più invisibile: fino alla scelta finale di sparire davvero. Primo film girato in Francia dal regista ciadiano di "Daratt", è una pellicola asciutta e intensa che ha il merito di calare lo spettatore nelle difficoltà di un migrante (di più: di un padre migrante, che nel suo paese era un professore di francese e qui è costretto ad accontentarsi dei lavori più umili), lasciando la porta aperta alla riflessione, senza pudore ma anche senza fronzoli o retorica. I toni sono quelli di un realismo alla Dardenne o alla Ken Loach, anche se il finale inquieto con l'improvvisa scomparsa della famiglia (che si lascia dietro gli oggetti più cari: i libri per Abbas, il monopattino per Yacine, il pesciolino rosso per Asma) può far pensare ad Haneke. Bella la scena conclusiva, con Carole che si aggira spersa sulle dune della spiaggia che un tempo ospitava la "Giungla di Calais" (l'accampamento dei rifiugiati che speravano di espatriare in Inghilterra), e ottimi gli interpreti.

2 commenti:

Marisa ha detto...

E' un bel film, molto coinvolgente e che fa riflettere sulla superficialità con cui in genere guardiamo, o meglio "non guardiamo" gli altri, specie se di altro colore. Più che cattiveria o reale razzismo, spesso è proprio l'indifferenza che li rende "invisibili". Un autentco meccanismo di difesa che dovrebbe cominciare ad allentarsi per renderci tutti più umani...

Christian ha detto...

Film come questi, che raccontano le storie degli immigrati "dal loro punto di vista", spesso aprono orizzonti e invitano a riflessioni che nel nostro quotidiano tendiamo a rifiutare o a rimuovere.